Proverbi e detti calabresi

Il folklore e la cultura popolare calabrese continua a sopravvivere, generazione dopo generazione, anche grazie a proverbi e detti calabresi che hanno attraversato i decenni per giungere pressoché inalterati fino a noi. Abbiamo cercato di riepilogarne qualcuno che, senza pretese di esaustività, potrebbe probabilmente arricchire di curiosità qualche conversazione…

Quali sono i più famosi e curiosi proverbi e detti calabresi?

Fare ‘u cunnu pe ‘un jire a ra guera

Letteralmente, Fare lo stupido per non andare in guerra. Il detto – che si trova anche in altre tradizioni regionali con simili formulazioni – si riferisce a colui che per evitare di affrontare una situazione difficile preferisce fare lo gnorri. Storicamente, il riferimento è invece quello del periodo bellico, quando alcune persone cercavano di evitare la leva obbligatoria fingendo delle difficoltà mentali.

Duve cantanu tanti galli, ‘un fa mai juarnu

Dove cantano tanti galli non viene mai giorno, arriva direttamente dalla tradizione di campagna calabrese. Il detto si riferisce al fatto che un pollaio non può avere più galli, essendo questi animali molto territoriali. Avere più di un gallo nel pollaio potrebbe infatti significare vederli ben presto litigare e non assurgere al proprio compito di svegliare la fattoria. Tradotto in termini più pragmatici nella nostra società, significa che avere più uomini dalla personalità forte in uno stesso contesto potrebbe portare a non finire mai quello che si è iniziato a causa dei forti contrasti.

De vennari e de marti, né se ‘nzura né se parte

Di venerdì e martedì non ci si sposa e non si parte. Questo detto calabrese lo si può trovare in misura simile anche in altre regioni italiane e pare derivi da una leggenda. Secondo la mitologia classica, infatti, martedì era il giorno dedicato a Marte, il dio della guerra, e doveva dunque essere evitato sia per spostarsi che per partire poiché era più alto il rischio di dover andare incontro a situazioni non pacifiche. Dal canto suo, il venerdì era un giorno da evitare poiché, secondo la cabala, era da ritenersi un giorno infausto e maligno.

Cu ‘ndeppi focu campau, cu ‘ndeppi pani moriu

Chi ha avuto il fuoco ha vissuto, chi ha avuto il pane è morto. Ma cosa significa? La saggezza popolare è stata riportata in questo modo di dire in dialetto calabrese, che si riferisce agli strumenti utili per sopravvivere. Chi ha solamente cibo rischia di morire, mentre chi ha anche il fuoco può sopravvivere: fuoco che, in alcune varianti, si riferisce anche al concetto di casa. Sembra peraltro che questo detto calabrese derivi da un’antica storia in cui un gruppo di persone si perse nella tormenta: le persone che avevano solo cibo morirono, mentre quelli che sapevano accendere un fuoco sopravvissero.

A vogghia mu ndi fai ricci e cannola, ca u santu ch’è de marmuru non suda

Anche questo proverbio calabrese è molto particolare, traducibile in Hai voglia di fare ricci e cannoli, il Santo che è di marmo non suda. Il pensiero ricava un altro detto, secondo cui “a lavare la testa al ciuccio si spreca acqua e sapone”. Insomma, come a dire che tutto è futile se si desidera cambiare la natura di una persona. In questo senso, il santo fatto di marmo è attribuibile a una persona dura e senza sentimenti che non suda anche nel momento in cui si cerca di blandire con le moine.

A Santu Martinu si iaprunu i butti e si prova lu vinu

Chiudiamo infine con il detto A San Martino si aprono le botti e si assaggia il vino, un proverbio popolare riferibile alla festa di San Martino. La storia di San Martino è nota: fu così chiamato in onore del dio Marte dal padre, ufficiale dell’esercito, e divenne anch’esso soldato per compiacere il padre. Mentre era in battaglia, però, un mendicante gli si presentò davanti e San Martino decide di tagliarsi il mantello e dividerlo con l’uomo. Divenne successivamente Vescovo ed è venerato come protettore dei mendicanti.

Proverbi calabresi reggini

Cu a voli cotta e cu a voli cruda

Chi la vuole cotta e chi la vuole cruda. Il proverbio descrive le divergenze tra le persone, rappresentando metaforicamente le opinioni contrastanti su come si preferisca qualcosa, simboleggiato qui dalla preparazione della carne.

Non gabbu e non maravvighhia

Nessun gabbo e nè meraviglia. Meglio astenersi dal deridere o stupirsi delle azioni altrui, poiché si potrebbe facilmente trovarsi nella stessa situazione.

Calati juncu ca sciumara passa

Forse è di origina siciliana, ma è anche una frase in dialetto calabrese. Letteralmente significa “Piegati giunco che la fiumara passa”. Il significato è un invito alla speranza, in attesa di tempi migliori. Come il giunco che lascia sfogare la furia dell’acqua, senza spezzarsi per poi rialzarsi ancora più forte.

U sceccu ‘nto linzolu

L’asino nel lenzuolo. Il proverbio reggino allude a chi simula stupidità, attribuendo ad una persona l’atteggiamento di nascondere la propria intelligenza dietro una facciata di apparente ignoranza.

Cu nasci tundu non mori quatratu

Chi nasce rotondo, non può morire quadrato. si riferisce a chi, in virtù del proprio carattere innato, è destinato a mantenere tale natura nonostante gli sforzi per cambiarla.