Il dialetto calabrese, tra i dialetti italiani, ha più di altri attirato l’attenzione degli esperti
Il dialetto calabrese, o per meglio dire, i dialetti calabresi, che sono di tipo meridionale estremo nella parte centro-meridionale della Calabria, e di tipo napoletano nella parte settentrionale della regione, in base alla storica divisione amministrativa che fu delle “Calabrie”: la Calabria Citeriore detta anche Latina e la Calabria Ulteriore detta anche Greca. Il dialetto è una forma linguistica usata in una particolare zona limitata, che non deriva in alcun modo dalla lingua italiana, ma che si è parimenti evoluta.
Curiosità e caratteristiche
• le proprie peculiarità e le radici radicate in tempi molto antichi;
• un’evidente diversità linguistica nella stessa regione;
• il rapporto tra l’orma greca e la storia della Calabria;
• la precoce latinizzazione;
• i resti di altre lingue;
• la presenza della minoranza arbëreschë.
Tra i dialetti italiani della Calabria meridionale e della Calabria del nord, è evidente un forte contrasto.
Il fondo principale del lessico calabrese è il latino, anche se i termini più antichi si ritrovano nella parte nord della regione, per via della latinizzazione, che avvenne in tempi meno recenti rispetto alla parte sud. L’altro elemento che caratterizza la parlata calabrese è il greco, straordinariamente rappresentato nella lingua parlata, specie nella provincia di Reggio Calabria, dove in paesi come Bova, Roghudi, zone dell’Amendolea ed alcuni quartieri di Reggio, qualche anziano parla la lingua calabro-greca.
Ecco alcuni esempi di nomi di animali, piante e oggetti, di derivazione greca:
• ‘zinnapòtamu in calabrese meridionale, che in greco è kynopotamus ed in italiano lontra;
• jilòna, che in greco è chelòne ed in italiano diventa testuggine;
• ‘nnàca, in greco diventa nàke ed in italiano culla;
• ‘geramìda, diventa keràmidion in greco e tegola in italiano;
• timogna, è themoonia in greco e cumulo di grano in italiano;
• cantàru, diventa kantharos in greco e tazza in italiano.
Una traccia poi, fu lasciata nel dialetto calabrese verso la fine del primo millennio, ai tempi degli scambi commerciali coi saraceni, che pur non esercitarono mai un dominio nell’attuale regione, fecero frequenti incursioni sulle coste tra X secolo e XI secolo.
Padroni incontrastati della Sicilia, gli Arabi sfruttarono infatti la loro posizione per sottoporre le città costiere della Calabria a tributi, intrattenendo rapporti commerciali e di scambio, modificando seppur in minima parte, la lingua calabra con diversi “arabismi”. Alcuni esempi sono il “Tùminata” , una misura terriera, la cui parola deriva dall’arabo “tumn”; o ancora, il frutto “caruba”, che deriva dall’arabo “harrub”. Un’eredità si può scoprire anche in alcuni cognomi calabresi, come Modafferi, Bosurgi e Naimo.
Un altra lingua che ha poi in parte influenzato la lingua calabrese è il francese, con l’avvento di normanni ed angioini, che la dominarono dal 1060, fino a quasi tutto il XII secolo.
Tra i francesismi che è possibile riconoscere nei dialetti calabresi, si ritrovano le parole:
• sùrici in calabrese, da souris in francese, che significa topo;
• mustàzzi, che deriva dal francese moustache, per baffi in italiano;
• ndùja, da andouille in francesce, per indicare in italiano l’ndùja, il salame tipico.
Meritano menzione inoltre poi il tedesco o lo spagnolo, che hanno lasciato anch’essi alcune tracce nel dialetto calabrese, benché in modo per così dire “leggero” e ad oggi di difficile interpretazione.