Leggende calabresi: i giganti Mata e Grifone

La festa dei giganti Mata e Grifone

Invade le strade delle contrade con il suo assordante e travolgente suono dei tamburi a festa, che richiama tutti a partecipare e ad ammirare il variopinto spettacolo, accompagnato da vorticosi balli. Una festa che ricorda ancora oggi una leggenda, a metà tra storia e realtà, di fatto entrata a far parte di diritto tra le tradizioni di questa terra, con la figura dei giganti. Una leggenda ed una storia che giunge in terra calabra dalla vicina terra sicula di Messina, datata attorno al 964, allorquando viveva in una buona famiglia di commercianti, una bella ragazza con molte virtù’, di fede cristiana, che si chiamava Mata, ossia Marta.

La storia di Mata e Grifone

Ebbene, accadde un bel giorno che un gigante moro di nome Hassas Ibn-Hammar, sbarcò con la sua nave proprio a Messina, e seguito dai suoi uomini, incominciò a depredare la città; e proprio nel mentre delle razzie, quando il gigante vide Mata, se ne innamorò e la chiese in sposa alla sua famiglia, che però rifiutò la sua corte. Il gigante non accettò il rifiuto e divenne sempre più furioso e crudele; finché il Re Moro si converti al cristianesimo, cambiando il suo nome in Grifo, che divenne Grifone, per via della sua enorme statura.

Da quel giorno Grifone, iniziò a vivere in modo nuovo, secondo le leggi cristiane, e visto il cambiamento, Marta finì per innamorarsene. Così Grifone per festeggiare il coronamento del loro amore, organizzò un grande ballo! Una storia che per alcuni, vede il ballo dei giganti avere origini aragonesi; mentre per altri, la leggenda, giunge ancor più da lontano, ed accosta i due fantocci a diverse figure mitologiche, quali: nella tradizione latina Crono e Rea, vale a dire Saturno e Cibele, e ancora, Cam e Rea, Zanclo e Rea, e infine, Mata e Grifone. Mito di Mata e Grifone, che conserva però diverse versioni; alcune vogliono che il gigante moro e la regina bianca siano i veri fondatori di Messina, mentre per altre, sono nel 1086, i prigionieri musulmani del condottiero Ruggero D’Altavilla.

Statue, che vedono Mata seduta su un destriero bianco (un tempo nero), a simboleggiare l’elemento indigeno, per cui secondo la tradizione fu nativa di Camaro, un antico quartiere cittadino, sull’omonimo torrente. La statua porta in capo una corona con tre torri, a ricordare le torri dell’antico castello di Matagrifone, miste tra ramoscelli e fiori; mentre alle orecchie reca un paio di orecchini d’oro. Mata indossa una corazza di colore azzurro con ricami d’oro e sopra una veste bianca, che le copre le ginocchia e sulle spalle, un mantello di velluto blu.

Infine ai piedi indossa calzari con stringhe intrecciate. Invece Grifone cavalca uno stallone nero (un tempo bianco) ed ha una splendida testa di moro, incoronata da foglie di lauro ed ornata da orecchini a mezzaluna. Egli indossa una corazza, da cui esce una corta tunica bianca, bordata d’oro; mentre sulle spalle ha un mantello di velluto rosso. Nella mano destra ha una mazza di metallo, mentre con la sinistra tiene forte le briglie ed al braccio porta uno scudo ovale, ove sono raffigurate tre torri nere su uno sfondo verde. Al fianco ha una spada la cui elsa è ornata da una testa di un feroce leone e da due teste di uccelli predatori.

Figure, che nella realtà sono da collocarsi verso la fine del XVI secolo, in un momento in cui erano forti le rivalità tra Messina e Palermo, per chi dovesse essere la capitale; finché nel 1591, Filippo II ordinò che il Vicere dimorasse a Messina per 18 mesi al triennio. In quegli anni le due cittadine facevano a gara a vantare titoli e privilegi, per essere la città migliore; finché nel 1547 in contrada Maredolce, a Palermo furono trovate ossa gigantesche, probabili resti di una fauna (elefanti nani o ippopotami) preistorica, che fecero asserire ai palermitani che la città era stata fondata da “Giganti”, in epoca molto remota. Un “fatto” che conferisce però maggior prestigio alla città, tanto che il Senato di Messina, ordina l’immediata costruzione delle due statue. Giganti, che quali simbolo di libertà, furono ben presto adottati in molte città siciliane e in alcune città della fascia costiera tirrenica e dell’Aspromonte in Calabria, che come Messina, avevano subito le devastazioni saracene e turche.

Una tradizione, viva ancora oggi nei comuni di Tropea, Ricadi, Spilinga, Dasà, Zambrone, Brognaturo, Cittanova, Seminara e ancora, Palmi. Una figura, quella dei giganti, accanto alla quale, durante i festeggiamenti a Palmi, partecipa un finto cavallo di cartapesta, a ricordare l’evento storico legato al conte Ruggero I, che vide muovere l’armata normanna alla conquista della Sicilia; mentre in altri centri, partecipa alla festa un cammello in cartapesta, a simboleggiare i saraceni.

Una leggenda quella de i giganti Mata e Grifone: indubbiamente affascinate, da riscoprire partecipando verso la metà di agosto, ad una delle numerose manifestazioni calabresi.