Alla scoperta del Codex Purpureus Rossanensis

Avete mai sentito parlare del Codex Purpureus Rossanensis?

Se la risposta è negativa, allora avete appena trovato una nuova (buona, buonissima) ragione per potervi recare a Rossano, dove nel Museo diocesano è conservato questo manoscritto onciale greco, risalente al VI secolo, e in grado di rappresentare una testimonianza culturale davvero straordinaria, e che vi consigliamo di non perdere.

Contenente un evangeliario con testi attribuiti a Matteo e a Marco, il Codex Purpureus Rossanensis deve il suo nome al fatto che le sue pagine sono – appunto – di colore porporeo, rossastro, conferendo a questo manoscritto un fascino ulteriormente straordinario.

La storia del Codex Purpureus Rossanensis

Il Codex Purpureus Rossanensis fu ritrovato nel 1879 all’interno della sacrestia della Cattedrale di Maria Santissima Achiropita di Rossano, e l’anno successivo gli studiosi tedeschi Oskar von Gebhardt e Adolf von Harnac lo presentarono alla comunità culturale europea e internazionale mediante un proprio scritto pubblicato a Lipsia. Dal 1952 è custodito presso il Museo Diocesano di Arte Sacra ed è oggi una delle testimonianze di maggiore spessore storico e culturale.

Tanti misteri ancora da decifrare

Nonostante i numerosi studi e le ricerche di carattere filologico, diversi sono anche i punti interrogativi che sembrano riguardare il Codex. In particolare, dubbi sussistono ancora in riferimento al luogo in cui sia stato realizzato il codice, e la sua datazione.

In tal proposito, la teoria che sembra trovare maggiore credito è che il manoscritto sia opera di una produzione scrittoria di un centro orientale, la cui ubicazione è tuttavia abbastanza ignota (si pensa comunque sia riconducibile all’odierna Siria e in particolar modo alla città di Antiochia, o ancora a un centro dell’Asia minore, o in Egitto, o ancora a Costantinopoli).

Per quanto attiene invece la datazione, la maggior parte degli studiosi concordano nel datarlo intorno alla metà del secolo VI, sebbene non siano poi pochi i ricercatori che invece lo retrodatano al V secolo.

Per quanto infine riguarda il suo “viaggio” verso Rossano, in Calabria, una quota prevalente degli studiosi che si sono dedicati al Codex Purpureus Rossanensis afferma che probabilmente a condurlo in Italia siano stati i monaci iconoduli, migrati dall’Oriente all’Italia meridionale, e quindi anche in Calabria, per poter sfuggire alle persecuzioni dei bizantini intorno alla metà del VIII secolo.