Mancano due giorni al Natale, Reggio Calabria si anima di un’atmosfera familiare e nostalgica. Strade, piazze e quartieri tornano a popolarsi di giovani e famiglie che per il resto dell’anno vivono lontano. Sono i Reggini emigrati, costretti a cercare fortuna altrove, spesso a causa di un’economia locale stagnante e di un tasso di disoccupazione tra i più alti d’Italia con un valore drammaticamente superiore alla media nazionale. Tuttavia, attribuire questa emorragia di talenti esclusivamente al divario Nord-Sud o alla mancanza di opportunità economiche sarebbe riduttivo.
Un problema radicato nel tempo
Le difficoltà economiche di Reggio Calabria affondano le loro radici in decenni di scelte sociali e culturali discutibili, che hanno favorito una mentalità assistenzialista e un’inerzia produttiva. Si è creata una cultura della dipendenza economica dallo Stato, dove molti cittadini hanno preferito approfittare di sussidi e benefici, anziché impegnarsi nella creazione di ricchezza e sviluppo.
Per decenni, molte famiglie hanno fatto ricorso a stratagemmi per mantenere un ISEE basso e accedere a sovvenzioni, bonus e agevolazioni statali. Questo ha alimentato una mentalità che vede nell’assistenza pubblica una fonte primaria di reddito, relegando il lavoro e l’iniziativa privata a un ruolo secondario. Di conseguenza, il tessuto imprenditoriale della città è rimasto debole, con poche imprese capaci di competere o innovare, e il mercato del lavoro si è contratto.
L’esodo e i giovani Reggini in fuga
I giovani Reggini, intrappolati in questo contesto, si sono trovati con due scelte: accettare una vita precaria, spesso dipendente dai sacrifici familiari, o emigrare verso le regioni del Nord Italia o l’estero. Negli ultimi vent’anni, si stima che oltre 160.000 giovani calabresi abbiano lasciato la regione, con Reggio Calabria che ha contribuito significativamente a questa fuga. Paradossalmente, nonni e genitori che oggi piangono per i nipoti e figli emigrati sono in molti casi gli artefici, seppure indiretti, di questa situazione.
Questa dinamica migratoria diventa evidente durante le festività natalizie. Le stazioni ferroviarie e gli aeroporti si riempiono di Reggini che tornano per riabbracciare le loro famiglie, portando con sé racconti di lavoro, successi e vite costruite altrove. Il contrasto tra le opportunità che hanno trovato lontano da casa e la stagnazione economica della loro terra natale è spesso motivo di riflessione e amarezza.
Il costo di un’incapacità collettiva
La crisi economica di Reggio Calabria non è solo il risultato di politiche nazionali o del divario infrastrutturale tra Nord e Sud, ma anche della mancanza di un’identità imprenditoriale e produttiva locale. Ben vengano il Ponte sullo Stretto e progetti come Mediterranean Life.
La città non è riescita a sfruttare le proprie potenzialità: il porto, le risorse naturali, il patrimonio culturale e paesaggistico rimangono sottoutilizzati.
Un esempio emblematico è rappresentato dal turismo. Reggio Calabria possiede bellezze naturali e attrazioni culturali di valore inestimabile che tutti conosciamo, ma il settore turistico non è mai decollato. Mentre l’Aeroporto dello Stretto finalmente registra numeri da record, mancano servizi di qualità e un approccio organizzato per attrarre visitatori e investitori.
Un altro settore con enormi potenzialità è quello agricolo, che potrebbe essere una risorsa fondamentale per lo sviluppo locale. Tuttavia, anche qui prevalgono logiche arretrate e poca innovazione. La produzione e la trasformazione dei prodotti locali rimangono frammentate, incapaci di competere nei mercati nazionali e internazionali.
Il prezzo da pagare
Dopo decenni di inerzia, è arrivato il “conto da pagare“. Le famiglie che hanno scelto di vivere di sussidi e di espedienti si ritrovano oggi con figli e nipoti lontani, costretti ad abbandonare la propria terra per costruire un futuro migliore. La nostalgia e il senso di vuoto che caratterizzano i ritorni natalizi sono il riflesso di una comunità che non ha saputo guardare al futuro.
Le conseguenze non sono solo economiche ma anche sociali. La perdita di giovani e talenti ha impoverito ulteriormente il tessuto sociale di Reggio Calabria, privandolo di forze fresche e idee innovative. La città invecchia e si svuota, mentre le risorse economiche continuano a essere erose da una gestione inefficiente e da un’economia paralizzata.
Guardare al futuro: una scelta necessaria
Il cambiamento richiede una presa di coscienza collettiva. Non si può continuare a incolpare esclusivamente fattori esterni come lo Stato o il divario Nord-Sud. Reggio Calabria deve fare un esame di coscienza e riconoscere che il problema è anche interno. Serve una nuova mentalità che premi l’iniziativa, la creatività e la produttività.
È necessario investire in settori strategici come il turismo, l’agricoltura e la formazione, ma soprattutto bisogna superare la cultura dell’assistenzialismo. Questo significa promuovere un’etica del lavoro, valorizzare i talenti locali e creare un ecosistema favorevole alle imprese.
Durante le festività natalizie, quando le famiglie si riuniscono e i legami si rafforzano, può essere il momento giusto per avviare questa riflessione. Gli stessi reggini che hanno lasciato la città potrebbero essere una risorsa preziosa, portando con sé competenze e idee innovative acquisite altrove.
Il futuro di Reggio Calabria dipende dalla capacità della sua comunità di cambiare mentalità, abbandonando il passato di inerzia e puntando su una visione di sviluppo sostenibile e inclusivo. Solo allora, il ritorno a casa per le festività non sarà più solo un viaggio della memoria, ma un simbolo di una rinascita possibile.